lunedì 8 gennaio 2018

La virgola della Santanché



Il primo requisito richiesto, che poi è il minimo sindacale, a chi ogni giorno e in ogni dove si fa paladino del patriottismo, del suprematismo e identità italiani e cazzate simili, è avere un minimo di padronanza della lingua. Non si pretende un livello di conoscenza di un Umberto Eco o un Gian Luigi Beccaria, giusto per citare i primi due che mi vengono in mente, ma un livello tale che almeno permetta di costruire un periodo senza infilare una orribile virgola tra soggetto e verbo.

Una roba del genere avrebbe fatto sgranare gli occhi alla austera signora Silvana, la mia maestra delle elementari, la quale avrebbe dato alla Santanché, come penitenza, almeno cinque pagine di quaderno a righe da riempire con periodi brevi senza virgola tra soggetto e verbo, come si faceva una volta coi somari.

Questi sono quelli che vorrebbero subordinare la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri a non meglio precisati test di conoscenza della lingua, test che naturalmente gente come la Santanché supererebbe a occhi chiusi.

(Direi di sorvolare sul fatto che quel "dà", in questo caso inteso come forma verbale, vuole l'accento grave e non acuto, ché poi sembra che si voglia essere troppo pignoli.)

2 commenti:

Zappa ha detto...

Io mi chiedo come abbia fatto a scrivere (chi ha scritto) dá con l'accento acuto, considerato che sulla tastiera non c'è ... Misteri dell'informatica.
Ciao omonimo!
Zappa

Andrea Sacchini ha detto...

Probabilmente è stato scritto tramite smartphone, lì c'è.
Ciao Zappa :-)

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