Parafrasando il grande Giorgio Gaber, a me non spaventa il Vannacci in sé, ma il Vannacci che è in me, in noi, in tutti.
Quando certe idee e certi personaggi arrivano a occupare posizioni apicali (non ci giriamo attorno: molti di quelli che stanno nelle stanze dei bottoni queste cose le pensano e le condividono), lo fanno in virtù di una legittimazione popolare. Detto in termini mangiabili: andate in qualsiasi bar, piazza, strada, supermercato e ascolterete facilmente le stesse farneticazioni.
Vannacci non è il problema, è il sintomo di un problema che va ben al di là del singolo personaggio e che riguarda la collettività, la società. Questo non significa che la maggioranza delle italiche genti abbracci o condivida il Vannacci pensiero, anzi si tratta sicuramente di una minoranza, ma una minoranza rumorosa che comunque ha un certo peso.
Quando Salvini, che come politico non vale niente ma come capacità di fiutare gli umori collettivi e trasformarli in voti è imbattibile, candida un personaggio simile a una tornata elettorale, non lo fa solo per una sorta di comunanza ideale con le assurdità propalate dal generale, ma lo fa perché sa che su quel terreno molti lo seguiranno, magari consentendogli di raggranellare un numero di voti sufficiente a fargli dire: Visto? Mi davate per morto e invece sono ancora qua.
E un certo numero di voti li prenderà, purtroppo. Li prenderà perché appunto il problema non è Salvini, e neppure Vannacci, ma i Salvini e i Vannacci che sono in noi.